Ciò che è senz’altro più difficile, è accettare la realtà.
Quando la “presenza” dell’altro viene meno per motivazioni che ci paiono irragionevoli, ecco che le emozioni più difficili da gestire, che sono rimaste a lungo sopite, prendono il sopravvento. La paura si trasforma in angoscia, la rabbia in furia, il disgusto in disprezzo. Ovviamente, con tonalità che cambiano di situazione in situazione.
La ricetta per ritrovare la felicità perduta non è nel cercarla altrove, ma è nel ricongiungersi all’origine, al bambino che si è stati. Quel bambino che cercava conforto dal dolore e dal disgusto presso la sua mamma e dalla rabbia e dalla paura presso il suo papà. Per ritrovare la propria forza vitale smarrita occorre recuperare nel proprio passato ciò che faceva sentire in armonia. E che cosa, se non la tavola, costituisce quell’elemento di congiunzione, in cui tutto – anche solo per un istante – può essere in armonia?
Personalmente, tra le mille ricette del mio passato, tra quelle capaci di mettere d’accordo tutti, grandi e piccini, donne e uomini, belli e brutti, ne ricordo due. Che più di ogni altra trasmettevano armonia, calore e colore. Ricette che andavano bene per l’estate, come per l’inverno. Per coronare momenti felici, o per superare difficoltà che sembravano insormontabili. Ed erano: spaghetti al pomodoro sciué sciué e la frittata a filoche.
Ricette solo apparentemente banali, ma tutt’affatto semplici. Irripetibili, perché anche questo è un segreto della felicità: quello di accettare lo scarto che c’è inevitabilmente tra il ricordo e la realtà delle cose. Ingredienti di tutti i giorni. Cotture brevi e non particolarmente elaborate. Perché le risposte alle ferite di un abbandono sono molto più semplici di quelle che a volte faticosamente si elaborano. Il risultato di una buona elaborazione, in certi casi, si risolve in tre semplici parole: “è uno stronzo/una stronza”. Certezze, semplici e vere, come la pizza di Michele al Rettifilo di Napoli, oppure i fusilli al ragù di Zì Pasqualina ad Atripalda, la cotoletta dell’Altra Isola a Milano e la Carbonara di Perilli al Testaccio. Ma quanta fatica e quanti mattoni sullo stomaco si è dovuti digerire per raggiungere tali squisite certezze?
I segreti per degli ottimi spaghetti sciué sciué e una frittata filoche, sono gli ingredienti. Per questo, occorre selezionare all’origine quello che la natura offre di buono. Ciò che la terra ha prodotto; ciò che di buono è stato fatto. Anche se nella relazione sentimentale appena conclusa non è stato sufficiente per scongiurare l’inevitabile, solo da lì si può ripartire per poter incontrare il nuovo.
Per gli spaghetti: pomodori pizzutelli (rari e squisiti), ma anche Cuore di Bue (più facili da trovare e molto saporiti). Appena scottati. Per il filoche: un formaggio leggero, più o meno saporito (o addirittura affumicato), e altro a piacimento (un prosciutto crudo o della verdura grigliata).
Il segreto è non farseli preparare da mammà o papà. Se proprio si vuole è consigliata solo una volta, la prima, per riscoprire l’antico sapore. Il vero piacere è poi nel rivisitarli, riscoprirli, trasformarli. Riappropriandosi di un pezzo delle proprie origini che, in assenza dell’altro, rischia di andare perduto una volta per tutte.
E in più l’effetto su una nuova lei o un nuovo lui di un piatto saporito, leggero e gustoso, preparato “sciuè sciuè” in pochi minuti, è quantomeno garantito. Per un dopo teatro o per una domenica passata tra le lenzuola.