Il sussulto che coglie di fronte a certe fantasiose interpretazioni dei nostri piatti non è una forma di sciovinismo, o snobismo, o provincialismo. No, è una difesa dei nostri sapori e dei nostri ingredienti. Abituare i palati degli stranieri a una cucina piena di strafalcioni significa, infatti, crescere dei consumatori incapaci di riconoscere l'autentica cucina italiana.
Ne sanno qualcosa gli chef che stiamo intervistando, che non si piegano alle richieste del loro pubblico, anche a costo di perdere denaro, e stanno facendo una grande lavoro culturale per far conoscere ricette e materie prime autenticamente italiane.
La prima vittima sacrificale della pseudo cucina italiana all’estero è, ovviamente, la pasta. La povera pasta. Vi racconto alcune delle brutture a cui ho assistito.
La famosa pasta scotta. Far cucinare la pasta al dente è una specie di battaglia persa. Ho notato che in alcuni pacchi di pasta di note marche italiane sono indicati due tempi di cottura, quello che dovrebbe essere e quello che allunga i tempi anche di 3-4 minuti per venire incontro ai gusti degli stranieri. Si tratta comunque di un passo avanti rispetto alla mezz'oretta, seguita come regola dalla mamma di una compagna di scuola di mia figlia. Secondo lei, infatti, la pasta stracotta sarebbe stata più digeribile. Mentre lo diceva, mia figlia lanciava occhiate disperate. Il giorno dopo abbiamo realizzato una vendetta “al dente”: abbiamo invitato noi la compagna di scuola e cucinato una pasta al dente, con il risultato che la pasta è stata divorata, pur essendo condita soltanto con un po' di olio e Parmigiano. “Che strano – ha commentato sua madre - con me fa sempre storie per mangiare la pasta”. La mia risposta è stata: “Certo, se le dai la colla…”
Comunque, tranne questo episodio, è una battaglia che ho perso: per quasi tutti i miei amici stranieri la mia pasta era buona, ma un po’ dura. Sic. Spero che i nostri chef non cedano.
Sempre in tema di cottura della pasta, una signora mi raccontava che il figlio frequentava una prestigiosa scuola di cucina a Buenos Aires, dove si esce pensando di essere chef e fare cucina di autore. Gli avevano insegnato a controllare la cottura della pasta, in particolare degli spaghetti, lanciando lo spaghetto contro il muro. E alla mia richiesta di spiegazioni, nessuno ha mai risposto.
Perché gli stranieri cuociano sempre la pasta in pochissima acqua è tuttora un mistero. Così come è un mistero il fatto che nell’acqua di cottura versino l’olio. Dicono che serve a non fare attaccare la pasta. Peccato che olio e acqua non leghino molto bene tra loro. Poi, se anche si creasse, per miracolo, un’emulsione, che sapore avrebbe la pasta?
Poi c’è il capitolo spezzettamento dello spaghetto in due, che mi fa venire i brividi. Ovviamente il gesto ha due ragioni di essere.
Il primo è che le pentole in cui molti stranieri cuociono la pasta sono piccole e riempite con poca acqua. Il secondo è che, nel 90% dei casi, non sanno mangiare gli spaghetti interi.
Di fronte a un piatto di spaghetti si assistono a virtuosismi di ogni genere: con forchette, forchettine e cucchiaio. Il peggiore di tutti resta, però, il taglio dello spaghetto.
Ovviamente allo spaghetto si abbina la “salsa boloñesa”, o bolognaise sauce, che spesso è una interpretazione fantasmagorica del ragù. Quest'ultima, a sua volta, non si sposa bene con gli spaghetti, come racconta Maurizio Pelli nel suo libro, “Fettuccine Alfredo, Spaghetti Bolognaise & Caesar Salad: Il trionfo della falsa cucina italiana nel mondo”.
Come si condisce una pasta? Normalmente si versa il sugo caldo sulla pasta bollente e il tutto si amalgama con pochi gesti. Ebbene, non sempre è così: potreste trovare una serie di salse e la pasta a parte, generalmente si tratta di una pasta ripiena come i ravioli. Ognuno si serve una porzione di pasta e sceglie la salsa. A quel punto, però, tutto è freddo e per far amalgamare salsa e pasta bisogna “ballare il twist”.
Sempre a proposito di condimenti, vorrei capire come nasce la leggenda che nelle salse “italiane” ci debba sempre essere una quantità d’aglio tale da sterminare un paio di generazioni di vampiri. A Buenos Aires mi è capitato di vedere qualche puntata sulla cucina di Buddy Valastro, alias il Boss delle torte, il mediaticamente e internazionalmente noto pasticciere di origine italiana. Per lui la cucina della sua famiglia, la cucina italiana è: chili di aglio, peperoncino e carne, tantissima carne.
Ma Buddy è in buona fede, così come sono in buona fede tantissimi oriundi italiani, che della cucina originale hanno un ricordo trasformato e stravolto dal tempo. Un po’ meno in buona fede sono i ristoratori che, su questo immaginario, costruiscono una cucina non autentica. Il consiglio? Andare nei ristoranti degli chef che stanno portando la vera cucina italiana in giro per il mondo.