Negli Stati Uniti troviamo altre due star mediatiche della cucina italiana: Giada de Laurentis e Mario Batali.
Giada de Laurentis, nipote di Silvana Mangano e Aurelio De Laurentis, è diventata dal 2003 una star di Food Network, il canale tematico dedicato al food di Scrippsnetworksinteractive. I titoli dei suoi programmi sono un richiamo continuo alla cucina italiana: Everyday Italian, poi Giada's Family Dinners nel 2006 e, nel 2007, Everyday Pasta: Favorite Pasta Recipes for Every Occasion, e in ultimo , Giada's Weekend Getaways.
Giada è italiana, di famiglia italiana, anche se cresciuta negli USA, ha un curriculum di tutto rispetto e, in generale, ha fornito un discreto servizio alla cucina italiana. Il problema sono, come al solito, i classici.
Per lei ad esempio la lasagna è quella con ricotta e spinaci che, in realtà, è solo una declinazione territoriale.
La ricetta di Giada è già abbastanza ricca. Ciò nonostante i lettori americani la commentano in modo negativo per lo scarso sapore. Colpa dell'autrice non avere messo il mezzo chilo di origano che si aspetterebbero. Tra i tanti commenti c'è anche quello di una lettrice, Nina, che dà la ricetta della mamma. La ricetta italiana? No, quella che un lettore americano si aspetterebbe con “polpette, miscela di ricotta, mozzarella, parmigiano e salsa marinara”. Ancor meglio la variante proposta con “salsa Alfredo (?) invece della besciamella che non ha molto gusto”.
Alla faccia della brava e bella Giada, questo è quello che un americano si aspetta parlando di lasagna. Il gusto originario è andato completamente perso e, per proporre una lasagna italiana negli USA, oggi, bisognerebbe avere la forza mediatica di Joe Bastinich con il suo motto: “Si fa così! O Muoro”.
Mario Batali è un ragazzone (classe 1960) sodale di Joe Bastianich con cui ha aperto nel 1998 il "Babbo Ristorante e Enoteca" di New York che ha replicato in più località degli States.
Nel 2016 ha cucinato per l'ultima cena di Stato del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama.
Per quanto la mia perfidia si sforzi, non ho visto nulla di particolarmente orrendo nelle ricette e nelle spiegazioni di Batali. Ah sì, la cipolla nella amatriciana. E il solito eccesso di ingredienti come negli spaghetti con le vongole: troppo prezzemolo, troppo peperoncino.
Però è interessante la sua spiegazione dell’espressione “al dente”: “Si raccomanda di non dire “al dAante” perché il poeta Dante è morto da più di 500 anni e non è responsabile della cottura della pasta, ma di dire al “deEnte” che significa che la pasta va masticata e si deve sentire sotto i denti, insomma non deve essere una pappina molliccia”.
I commenti sotto la ricetta sono esilaranti: ai più gli spaghetti sembrano crudi, altri ci dicono che noi italiani dovremmo andare a scuola di cottura degli spaghetti dai cinesi (sic sic sic ndr) e un commentatore specifica:
“ Gli italiani amano usare solo un paio di ingredienti per piatto (?). Tuttavia, ho assaggiato questa combinazione in un piatto favoloso, che ho provato sabato scorso al Olive Garden. Era meraviglioso e pieno di sapore. Specialmente dopo che la cameriera ha buttato sul mio piatto mezza libbra di Parmigiano fresco. Insieme al Cabernet della casa, ha reso quella notte indimenticabile”. Diciamo che anche un po’ di ironia non guasta, per la parte del servizio almeno.
Buona pasta al dante, no anzi, al dente, per tutti!